All'ombra di Monte Mario il Bologna non demerita. Una volta tanto le cifre ci sono amiche, a testimonianza che sul prato dell'Olimpico la squadra c'è. E come dice un altro coach bistrattato, Ramagli, in questo cupio dissolvi dello sport bolognese (per cui i buoni sono buoni a prescindere - qualunque cosa dicano o facciano - e i cattivi sono tali e anzi bastoniamoli di più), se i giocatori decidono di esserci non c'è teoria che tenga: il risultato si fa.   

Un'altra regola olimpica, nel senso che è stata applicata allo stadio del CONI, è che Donadoni sceglie ma parla il suo portavoce, ovvero Gotti. Pensate se fosse successo così anche in politica: per dire, avesse scelto Renzi ma parlato Del Rio o Gentiloni. Forse la storia (anche dello sport) si sarebbe scritta in modo diverso. Comunque sia, la pacatezza delle risposte del vice, la loro "profondità", il non covare nessun senso di fastidio e rivincita (su una parte dei quali Donadoni ha delle ragioni: tutti commissari tecnici, come è noto) hanno spianato la strada, finalmente, a un confronto vero e biunivoco. Noi a interrogare e Gotti ad argomentare: perfetto.

Così si è capito, per esempio, che a Destro, con educazione e pacatezza, è stato indicato l'uscio. "Se non si gioca nella metà campo avversaria, non è adatto: meglio Palacio". Ora bisognerà vedere se l'anno prossimo albergheranno ancora da queste parti l'argentino e il tecnico bergamasco, ma sembra tramontata con certezza l'epoca del marchigiano (scelta a cui la dirigenza non è affatto estranea). Il quale ha complessivamente fatto ben poco - esattamente come capitò a Roma e Milano - per calarsi nella parte che serve. E' uomo di governo, non di lotta. Se mi passate la metafora di sopra, è Minniti, ma con minori risultati, non Mario Capanna.

Delle tre imprese petroniane ieri fuori casa, quella del Bologna era la meno pronosticata: dalla Ducati era attesa una maxi prestazione, in Virtus avevano speso parole confortanti sullo stato psicofisico (vincere a Brescia senza tre giocatori, due italiani e l'americano che continua a mancare, non è stato male).

Esistono tanti tipi di pareggi: quello con la Lazio è stato balsamico e convincente. Per un attimo, è scomparso il presuntuoso maigodutismo verso Donadoni (il che non significa che un ciclo non si sia esaurito), è passata sotto silenzio l'ignominiosa prestazione della Primavera al Viareggio (due sconfitte contro carneadi internazionali e un pareggio con il Cagliari) e gli strali a intermittenza lanciati contro i dirigenti (da tanti) e la proprietà (da quasi nessuno) sono rimasti adagiati nella faretra.

Qualche giocatore è rigenerato dal modulo a 3: Masina, sollevato dai più gravosi compiti difensivi, Torosidis, bollato come bollito al suo arrivo ma jolly prezioso (vedi che le relazioni romane, terrazze con il ponentino e bianco ghiacciato dei Castelli, servono ?), Romagnoli, la cui prestante positività fa quasi dimenticare Maietta, Dzemaili, finalmente riemerso a livelli consoni. Così e così Pulgar a cui però è concesso, credo, di toppare un match ogni tanto. E Donsah, riproposto in corsia come a Ferrara, può fare quello che più gli piace: tanto dietro restavano in 6 a proteggere il fortino.

Tra poco sarà tempo di scelte. Sul versante del tecnico si prendono informazioni. E se in epoca corviniana gli obiettivi erano Di Francesco e Gasperini (Giampaolo no, non era ancora di moda), ora si sta un gradino o due più in basso. Ok Nicola e Di Biagio, magari l'ultima pulsione è di strizzare l'occhio a Semplici. Il quale non sa, credo, che qui l'ambiente è tutt'altro che...semplice. Ma la piazza ha blasone e il ragazzo sta facendo un ottimo lavoro. A me non dispiacerebbe, in caso.

Sezione: Director's cut / Data: Lun 19 marzo 2018 alle 19:43
Autore: Alberto Bortolotti
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