C'è sempre un cambio sbagliato o fuori tempo, un legno colpito dagli avversari, una scarsa fluidità di manovra, qualcosa insomma che si poteva, anzi doveva fare, ma non si è fatto. Gli scettici, i dubbiosi, i "sottovalutatori" degli avversari (i quali, ancorché provati, non sono tanto disposti a collaborare, come è noto) continueranno tutta la vita a pensare che si possa dare più spettacolo di quel che si dà per il solo fatto di chiamarsi Bologna. In realtà lo stesso ragionamento potrebbero farlo i genoani, che hanno vinto un sacco di scudetti (pure se all'epoca di Noè) o i sassolesi, che lo scorso anno hanno viaggiato in Europa. Ma loro hanno raccolto zero punti, e noi tre. 

A dimostrare quello che è, in tutta evidenza, un buon lavoro di Donadoni (che è anche - quest'anno - un generale fortunato, certo: embè?) basta la presenza di Palacio, che ha fatto seguito, se volete, a tre episodi tanto sfigati quanto, in prospettiva, magici: l'infortunio di Falletti, la non idoneità di Avenatti, il rovescio con il Cittadella. Alla fine lo staff dirigenziale del Bologna (al quale va dato atto di avere, sul piano tecnico, fatto un lavoro di sicuro non disprezzabile tra trattenute di giocatori presenti e acquisizioni di nuovi, partendo da una disponibilità economica tutt'altro che trionfale) ha acconsentito a tesserare l'argentino con coda, benchè extra progettuale (qualcuno poi, un giorno, mi spiegherà chi è "dentro" al progetto e quali sono i criteri), forse bollito, certo bollato internamente come una fissazione del mister.  

Quel ragazzo bruttino, pelatino, vecchiettino, modestino, bassettino in realtà è di qualche spanna sopra la media - attitudinale - di tutti o quasi i suoi compagni. Tanto dall'averli trasformati. Ora il Bologna è una squadra che lotta e crea pericoli, ne subisce ma non sbanda, mentre lo scorso anno il gol avversario, spesso "chiappesco", era la logica conclusione di una resa inevitabile. Al di là di una solidità fisica pazzesca (oltre che una velocità di base da centometrista al Golden Gala), come dimostra la gara di autoscontro con Laxalt in cui l'uruguaiano è finito contro le reti di protezione (poi il colpo di biliardo verso il palo lontano, masterpiece!). 

E qui, Mattia Destro. Va bene, per carità, il tunnel. Con una incidenza sul capolavoro del Trenza pari a quella dei liberali nei vecchi governi di centro-sinistra. Però, l'ha fatto. Ok. E il resto? Per me c'è una amarissima (vorrei dire desolante, ma non sarebbe giusto verso un professionista che comunque, sono certo, si impegna) constatazione: dopo l'infortunio Destro non si è mai ripreso. Rallentato, appesantito, annacquato nei riflessi, indebolito nella potenza. Perché? Non sono un medico e non partecipo a questi giochetti. In proposito Bologna è piena di spifferi e spifferai, ognuno sa la motivazione segreta. Ma cosa importa? Il fatto è che uno così oggi, risottolineo oggi, è da B, altro che da Nazionale. 

Con l'augurio, sia chiaro che gli capiti una rinascita totale e si componga una accoppiata, sulla carta, esplosiva.

Ultima considerazione sull'attacco (di Mirante, Gonzalez, Helander, Mbaye, Pulgar e Donsah avremo 15 giorni di tempo per argomentare). Pensate alla coppia dei bolliti. Testina e lingua? Zampone e cotechino? Bondiola e cappello del prete? Lesso e cappone? No, Palacio e Borriello. Chiaro, tutto rigorosamente extra-progettuale. Ma tanti gol, credo.  

Sezione: Director's cut / Data: Dom 01 ottobre 2017 alle 12:00
Autore: Alberto Bortolotti
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