E' stato un vero peccato. Da un lato il Bologna si è sciolto, come troppo spesso è capitato (20 sconfitte casalinghe dal ritorno in A, 7 reti subite e 1 fatta nelle gare ufficiali interne di questa stagione: numeri ai confini della depressione), nel finale di gara, anche se dall'altro bisogna riconoscere che la grande squadra la vedi nel gas sempre costante, senza gli up and down dei team medio piccoli che si accendono (e poi si spengono) con troppa facilità. 

Un peccato perché il finale ha nascosto qualche buon segnale diffuso, ovvero il fatto che si può coniugare un modulo coraggioso con l'attenzione difensiva (il che, in parte, promuove il lavoro del vituperato coach, in una città piena di maestrini dalla penna rossa che hanno sempre un sacco di cose da insegnargli), e la bontà dei due acquisti che giocano: Poli e Palacio non faranno parte del cosiddetto progetto, ma trattasi, vivaddio, di due giocatori di calcio (l'argentino è nettamente al comando nella graduatoria delle maglie vendute, primo per distacco su Verdi. Destro non pervenuto), concreti, solidi, altruisti ma certamente non privi di iniziativa: zero brontolamenti, piglio da leader. 

Ne avessero preso un altro in mezzo al campo si sarebbe finalmente potuto parlare di legittime ambizioni di crescita nel rendimento finale. Sugli altri acquisti il giudizio è sospeso (salvo il fatto che contratti pluriennali ad atleti attempati danno segnali di continuità con il passato), Gonzalez sta ancora cercando gli attaccanti del Cittadella ma prima o poi avrà una chance, De Maio deve ridimensionare l'autostima e fare qualche iniezione di umiltà, Falletti e Avenatti li vedremo quando saranno disponibili. Al momento la squadra è peggiore dell'anno scorso, ma non si può escludere che marchi qualche progresso.  

La società diffonde giustamente messaggi tranquillizzanti quando, in realtà, il contesto appare piuttosto mosso. Al di là di evoluzioni imperscrutabili di chiacchierate vicende interne, lo stadio attende il tour romano negli uffici del ministro Lotti di martedì prossimo. 

Immaginiamo i contenuti del colloquio: il politico rassicura, Sindaco, Fenucci e Maccaferri abbozzano, replicano e provano a ottenere rassicurazioni (verissimo, come detto da Merola, che non si può essere penalizzati dalla storicità dell'impianto). Il Ministro prenderà impegni il cui buon esito non dipenderà nemmeno da lui: le schermaglie sulla legge elettorale, la precarietà dei numeri della maggioranza indicano che siamo in piena campagna elettorale. E la questione impianti sportivi sarà al duecentesimo posto in agenda, a essere ottimisti. Le urne possono essere veramente dietro l'angolo. E prima che ci sia un governo - di coalizione - passeranno mesi.

Lo stallo che ciò genera nello sport bolognese rischia di produrre antipatia verso il calcio. Intendiamoci, non è colpa di nessuno, non si può dire che stiano mancando impegno, fantasia e anche tentativo di mantenere buone relazioni con il territorio (mirabile l'equilibrio "politico" degli sponsor, dalla bianchissima Faac ai "rossi" della Granarolo, siamo in pieno rispetto dell'arco costituzionale). 

Però il ritorno di fiamma sull'antistadio (secondo quanto affermato da Fenucci potrebbe essere la casa della Primavera per le gare interne) rischia di fare incazzare definitivamente il mondo dell'atletica, già ingiustamente penalizzato da non scelte, poca manutenzione e ritardi di tutte le ultime amministrazioni: dovesse scomparire anche il Lucchini senza contropartita saremmo alla persecuzione. E a chi dice che il pesce grosso non deve preoccuparsi troppo del piccolo si può rispondere che tutto va bene finché vinci, ma questo Bologna lo fa troppo poco sul campo per azzerare mugugni e critiche. E lo si vede nei numeri degli abbonati, fanno tenerezza le richieste dei tifosi di uno stadio da 30.000 quando i season ticket sono fermi a 13.000 (pure non pochi...). Gli altri 17.000 sarebbero miele per le api juventine e napoletane che colonizzano il Dall'Ara.

Sullo sfondo, la figura di Saputo. A dispetto delle comprensibili e certamente sincere rassicurazioni di Fenucci, pare la Sfinge. Nei rapporti interni ed esterni risulta troppo vaga, quasi incomprensibile, la road map che certamente, da persona seria, ha in testa. Mercoledì si è finalmente chiarito un luogo comune, la Granarolo non è in vendita e non è stata mai trattata da lui e con lui. Il resto però, almeno al sottoscritto, è poco chiaro. Attendiamo.        

Sezione: Director's cut / Data: Gio 14 settembre 2017 alle 12:00
Autore: Alberto Bortolotti
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