Gianni Marchesini, al PG Classic del lunedì sera, lo ha riferito con totale nonchalance, suscitando l'assoluto sbalordimento dei presenti in studio, tutti completamente ignari del fatto. "Ho saputo che venerdì quattro colleghi delle testate di stampa scritta. direttori o capi servizio, sono andati a pranzo con Fenucci e Bigon". Di per sè, niente di nuovo. Il sottoscritto frequenta il Bologna dall'epoca di Luciano Conti, e ha ricevuto dai vari proprietari e/o dirigenti tonnellate di inviti. sicuramente più frequenti all'epoca in cui ci si scorticava (molto più di ora!) sulle colonne del giornale o davanti a microfono e telecamera ma poi esisteva un rispetto di fondo che partiva da condivisione di valori. Feci personalmente a pezzi Corioni che pretese di essere in studio a ricordare Alfeo Biagi ed è rimasto un amico dopo. Ha anche pranzato un giorno a casa mia, io, lui e due piatti di spaghetti.
L'ultimo con cui c'è stato un contatto umano "collettivo" con la stampa risponde al nome di Renzo Menarini (cena ai Gessi), ma ciò ha riguardato la primissima fase della sua esperienza rossoblù. Guaraldi ha molto diviso e poco imperato, ricordo solo una "zuppa inglese" al Campione con tutti i soci e una miriade di cronisti, con un confronto vivace al termine moderato da Gianni Morandi.
Le ultime tre gestioni si sono comportate in modo insospettabilmente identico, almeno verso il sottoscritto. La convocazione guaraldiana per le famosissime cotolette riguardò quattro o cinque di noi, cioè di loro: per mia fortuna figuravo nel girone dei dannati, non degno del desco.
Tacopina riceveva nella suite dei Portici (pagata da Saputo...) chi i suoi p.r. decidevano, e ancora una volta non feci parte di quel manipolo, il che mi agevolò nel picchiare duro, senza remore, quando emerse la cioccapiattata della Banca di Trani e le fideiussioni negate: l'inizio della fine (sua), ma l'inizio era stato neanche un mese prima (e ricordo i social: spargete zizzania tra gli americani, vergognatevi). Detto con chiarezza: non rimpiango il "motivatore" Joe e i suoi selfie. Mi tengo ben stretto l'algido e compassato signore canadese, essendo porelliano so bene la differenza tra parlare di soldi e i soldi. I soldi, appunto. 
Il chairman (cioè, meglio: i suoi manager) sceglie oggi di puntare su un ipotetico ammorbidimento dei giornali, utilizzando tecniche del tutto tradizionali che smentiscono un altro luogo comune cittadino, ovvero una società tetragona alle commistioni con la stampa (sporca e cattiva, spesso), zero sbisci all'esterno, tutta autosufficiente.
Risulta che più di uno dei commensali (tutti professionisti togati, non ragazzini) abbia detto "volete delle veline, noi non ci stiamo" e poi è arrivato lo striscione di domenica. Che il club non sapesse risulta poco credibile. Che si potesse almeno dissociare (magari formalmente, sempre meglio di nulla) dopo un episodio del genere era da ritenersi doveroso. Non lo hanno fatto, anzi hanno mandato a parlare un fautore, per cui siamo a posto così. E d'altra parte nella gallery in fondo all'homepage del sito compaiono le foto degli striscioni incriminati, si vede che ci tengono a mantenere viva la memoria.
Di per sè fare pubbliche relazioni è un imperativo per un club e Fenucci è pure bravissimo, avvolto nelle sue morbidezze capitoline carezzate dal ponentino e avvezzo a ciò, lo testimonia la sua carriera.
Ma di una cosa possiamo star certi, le fettine panate che (forse: potevano anche essere tagliatelle o coda di rospo) sono state mangiate venerdì non hanno la stessa consistenza untuosa, oleosa, drammaticamente piena di strutto (come usa a Zola). Non essendo provinciali, erano dolci come lo sciroppo d'acero, con la fragranza di un mattino quebecoise.
Insomma, trattasi di cotolette 2.0. Sembrano dello stesso vitello che usava la macelleria Guaraldi ma fanno anche loro parte del progetto.
(Il pezzo non è contro Saputo, che di tutte 'ste robe sa il giusto. E' contro i miti che corrono sulla Via Emilia tra Ponte Rizzoli e Ponte Samoggia)

Sezione: Director's cut / Data: Mer 22 marzo 2017 alle 12:00
Autore: Alberto Bortolotti
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