Qualche anno fa, in estate, il Centro Bologna Club organizzò in Certosa un giro sulle tombe di illustri ex rossoblù (l'iniziativa mi pare sia durata tre anni, e l'ultima si arricchì di una sosta sul tumulo di Lucio Dalla, appena deceduto), in cui ero coinvolto, assieme ad altri colleghi. Leggevo un testo, da me scritto, su Faele Sansone, Giacomo Bulgarelli e Angiolino Schiavio. Se ci fosse un quarto tour, non includerebbe la lastra marmorea di Marino Perani perché si trova al cimitero di Ponte Nossa, sua città natale, nel bergamasco.

Quel giro, però, idealmente ricordava un po' tutti. Così, ci fosse una (auspicabile) replica, un pensiero a Marino potrebbe, anzi dovrebbe essere dedicato. Io ne ho tanti, di "nanetti" con lui.

Da quando, lui trentenne (circa) e io meno che quindicenne andavamo nel medesimo hotel di Riccione e facevamo lunghe sedute in spiaggia al "primo banco" di palleggi con le mani modello volley, obiettivo non fare mai cadere il pallone in acqua. Poi il mio inizio lavorativo e lui allenatore. Poi ancora il mio ritorno a Rete 7, il suo essere presente al PG come ospite fisso, le pagelle ("settimo !" per dire bravo e "ottimo !" per dire super, un vezzo), le camicie di raso e le cravatte variopinte, un po' John Lennon e un po' Gigi Rizzi: detta alla bolognese, un figarino. E in quegli anni, con la B clandestina in tv (Sky arriva dopo a coprirla tutta), lui aveva un marchingegno in casa per intercettare segnali utili - tranquilli, è tutto prescritto !-. Io e il Civ gli ospiti, crostata e fragolino fresco. Nel corridoio della bella casa fuori Porta Saragozza, una pala d'altare fantastica. E io. "Marino, ma a quale santo hai rubato 'sto capolavoro?", lui a sganasciarsi. 

Ai figli del Nord inurbati sotto le Due Torri a fine anni '50 Bologna ha voluto strabene. Tutti prodotti della Padania, si direbbe oggi con (discutibile, per me) neologismo. Un gruppo di giocatori tecnicamente e tatticamente integrati alla perfezione, caratterialmente bolognesi a tutto tondo: il funambolico Janich, i posati Fogli e Pavinato, il vivace Perani e il tormentato Pascutti. Uniti da quella meravigliosa malattia che era la "dallarite", ovvero il gusto di assemblare certosinamente, pezzo dopo pezzo, talenti ai fini di vincere. 

La Certosa, forse, è stata un palcoscenico un po' piccolo per Marino, specie al cospetto della monumentale Cattedrale riservata a Giacomino ed Ezio. Però ha cementato molto il feeling dei presenti, un sacco di vip ma soprattutto tanta "ordinary people" a tinte rossoblu. E Francone Janich ancora lì, in chiesa, a fare scherzi. Incorreggibile burlone!

Bello il saluto di Saputo (ribadisco un concetto già espresso: sarebbe un trionfo assoluto se una volta lui riuscisse a esserci di persona), significativa la presenza della squadra, bravi i tifosi organizzati che hanno marchiato "visibilmente" l'esterno della cerimonia (se si può notare una cosa senza che nessuno se ne abbia a male, ogni gruppo un po' per conto suo. Non è inusuale, in questo periodo. Pappagone, alias De Filippo, si sarebbe chiesto "siamo vincoli o sparpagliati ?").

Ora il testimone di Marino passa al suo erede naturale sul campo, Simone Verdi, e al suo conterraneo Donadoni. Perché il suo match, Atalanta-Bologna, onori lo spettacolo e permetta di proseguire una striscia positiva oltre ogni più rosea aspettativa. E fargli, magari, domenica, a cose fatte, una bella dedica. 

Sezione: Director's cut / Data: Sab 21 ottobre 2017 alle 14:44
Autore: Alberto Bortolotti
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